E tu hai mai provato un senso di vergogna?

vergogna

Al giorno d’oggi nella nostra società si sente sovente parlare del termine ‘vergogna’ ma, più verosimilmente, della mancanza di essa nei diversi contesti di vita e nelle situazioni relative all’ambito lavorativo (fra colleghi), all’ambito sociale (fra la popolazione o fra gruppi di persone), nonché a quello familiare e affettivo. Quante volte si sente dire “Ma quello non si vergogna di…?”
Spesso, quando qualcuno sembra commettere un atto che non rispetta la morale condivisa da una certa cultura, non è per mancanza di vergogna, è proprio perché ha interiorizzato un senso inappropriato della vergogna…la cosiddetta vergogna patologica.
La società odierna è tendente al narcisismo proprio perché il senso di vergogna che si cerca di trasmettere alla prole già in tenera età è troppo spesso sproporzionato, inappropriato alla situazione e pertanto disfunzionale.
In generale, la vergogna implica un’esposizione della propria persona (nel suo essere specifico) di fronte agli occhi reali o interiorizzati nel tempo di “osservatori” esterni che danno una loro interpretazione dell’operato, e si distingue dal senso di colpa in quanto quest’ultimo riguarda la convinzione di aver fatto qualcosa di sbagliato e che quindi è stata trasgredita una regola, una norma, un’aspettativa condivisa dal gruppo di appartenenza. In quest’ultimo caso l’attenzione si sposta sul fatto commesso e non sul senso identitario dell’individuo: qualora la persona interpreti un errore come fonte di vergogna esso non potrà mai essere oggetto di riflessione e di eventuale riparazione, poiché il dolore si fa troppo grande e non gestibile; nel caso della vergogna l’individuo sente di poter porre rimedio e non si sente perciò impotente e succube.
Quando qualcuno ripetutamente nel corso della propria esistenza cerca di far “vergognare” un figlio, un coniuge, un genitore, non lo sta aiutando, ma lo sta giudicando ed etichettando come “individuo cattivo” racchiudendo in ciò la totalità dell’essere. Questo spiacevole sentimento che provoca intensa rabbia repressa e depressione suscita, a mano a mano, un desiderio sempre più intenso di voler scomparire, nascondersi, morire o anche mettere in atto varie forme di autolesionismo (tabagismo sconsiderato, rinunciare ad alimentarsi, intossicarsi con uso di sostanze stupefacenti, alcool, psicofarmaci…).
Molti autori, parlando di narcisismo patologico, affermano che la società odierna spinge alla mera realizzazione di sé concentrandosi troppo su sè stessi (senza considerare l’altro e la collettività) e sull’autorealizzazione e libertà personale; ma ciò aumenta il senso di vergogna e il narcisismo, in quest’ottica, sarebbe proprio un tentativo estremo per evitarla, fino ad arrivare a forme estreme fra cui la megalomania sia nel singolo che nei gruppi, la violenza incontrollata, il sentimento di inferiorità, la perdita evidente del senso di empatia, il delirio di grandezza e di onnipotenza e, in alcuni casi, la dissociazione.
Indurre l’altro a un senso di vergogna spropositato, fin dalla più tenera età, come modello educativo è assolutamente controproducente: una volta interiorizzata, la vergogna diventa la base di ciò che si pensa del proprio sè e l’individuo si sentirà incapace di modificare questo assetto e lo negherà compiendo azioni spregevoli.
Sarebbe auspicabile soffermarsi ad accogliere le esperienze attraverso un ascolto empatico, al sentire piuttosto che al fare per “essere qualcuno” a tutti i costi e definirsi tramite un ruolo di evidenza, senza lasciare spazio al volere e al piacere costruttivo per sè e gli altri.
Puntare all’elaborazione e alla trasformazione dei pensieri negativi correlati alla vergogna può essere una tappa verso un modello di comportamento che permetta di giungere all’integrazione Io- l’Altro, Io- collettività.


ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA KOINE